QUALE FUTURO PER LA U.P.S. ITALIA?
“Nei primi
mesi dell’anno abbiamo introdotto una strategia che ci porterà al successo in
Europa...”.
Forse il manuale consegnatoci nei mesi scorsi ha
proprio ragione: il 1996 potrà essere ricordato dai lavoratori come l’anno
della svolta.
Nuovi programmi, nuovi servizi per i clienti, nuovi
strumenti tecnologici, il tutto per raggiungere un grande risultato: essere
l’azienda leader nel servizio espresso.
Sempre secondo il manuale, la strategia paneuropea
impone un bisogno di qualità e di cambiamenti attraverso due strumenti:
l’esperienza e il ruolo dei dipendenti U.P.S..
“Conquistare
il mercato attraverso prezzi competitivi, riduzione dei costi d’esercizio, la
standardizzazione dei servizi e dell’operativitaà attraverso dipendenti
efficienti, servizievoli ed affidabili che non temano il cambiamento necessario
in un mercato estremamente variabile”.
Quindi la morale è: massima dedizione quale unica
possibilità per il mantenimento del posto di lavoro e del salario.
Ma quali sono gli effetti pratici di queste
affermazioni?
Qual è il prezzo da pagare per ottenere questi
obiettivi?
I primi risultati di questa politica si iniziano a
vedere soltanto adesso anche se l’azienda avrebbe dovuto, in un apposito
incontro a livello nazionale avvenuto alcuni mesi fa (aprile 96), spiegare in
dettaglio le conseguenze di questi processi di trasformazione.
TRASFERIMENTO DEL SERVIZIO CLIENTI A VIMODRONE
E’ un esempio di come una struttura moderna e
confortevole non necessariamente comporti anche buone condizioni di lavoro.
Le difficoltà riscontrate sono state notevoli:
l’azienda non ha riconosciuto la R.S.U. di Milano
come rappresentativa anche dei lavoratori di Vimodrone (in quanto considerato
come distaccamento della sede di Milano e quindi nuova unità produttiva) ma
contemporaneamente, in palese contraddizione, neanche l’indennità prevista
dall’art. 35 C.C.N.L. ai lavoratori trasferiti.
Le condizioni di lavoro sono estremamente difficili:
le chiamate che s’inseriscono automaticamente nelle
cuffiette con un suono ripetitivo e fastidioso obbiligano a dei ritmi
lavorativi decsamente elevati e stressanti.
Le pause non sono gestite secondo le esigenze
fisiologiche dei lavoratori ma secondo le esigenze aziendali.
Esse vengono costantemente verificate dai
responsabili prospettando, in maniera assai rigida, la possibilità da parte dei
lavoratori a recuperarli.
L’introduzione del sabato lavorativo in relazione al
nuovo servizio (Express plus), intesa come normale giornata lavorativa,
permette all’azienda di retribuire un salario decisamente più basso ai propi
dipendenti rispetto a quanto solitamente previsto dalla maggiorazione relativa
all’art.18 C.C.N.L. (lavoro straordinario).
La nostra impressione è che vi sia un ambiente
costantemente sotto pressione creando un disagio così evidente da impedire che
si instaurino dei rapporti interpersonali tra colleghi.
RISTRUTTURAZIONE DI REPARTI NELLA FILIALE DI MILANO
L’introduzione dei nuovi programmi, la scomparsa
della BdA, ha permesso all’azienda una riorganizzazione di numerosi reparti
senza un reale coinvolgimento dei dipendenti. In particolare la “fatturazione
nazionale” è il reparto che ha subito, per ora, la maggiore trasformazione.
Nonostante la crescita professionale ed i continui miglioramenti produttivi ai
lavoratori è stato comunicato, nel gennaio di quest’anno che, in vista di nuove
procedure (la scomparsa della Bda), parte della fatturazione sarebbe stata
appaltata presso ditte esterne per poterne riorganizzare l’attività.
Quello che sta avvenendo non è esattamente questo:
il nuovo documento (waybill) viene inviato in aziende
estere, probabilmente dell’U.P.S., dove viene fatturato da personale più
“gestibile” e meno costoso.
Quando a gennaio i lavoratori fecero 1 ora di
sciopero, perchè l’azienda non dava informazioni più dettagliate sulla
riorganizzazione del reparto, avevano colto il problema più importante:
la carenza
di informazione e di contrattazione!
La situazione che si stava creando in quel momento ha
fatto, probabilmente, rinviare una decisione già presa da tempo, ma da attuare
in un periodo sucessivo facendo in modo che i lavoratori si adeguassero mentalmente alla nuova
prospettiva svuotando di fatto la conflittualità.
E’ altrettanto probabile che gli incentivi dati in
questi giorni ad alcuni di questi lavoratori, inquadramenti già da tempo
dovuti, si debbano considerare come un tentativo, da parte dell’azienda, di
mantenere la situazione tranquilla in un periodo molto delicato in prospettiva
di un notevole incremento di produttività e quindi di profitti.
Dopo ripetuti incontri l’azienda si è finalmente
impegnata a fornirci, in breve tempo, un organigramma dettagliato del reparto e
le mansioni di ciascun lavoratore.
Ci riserviamo di valutare in seguito, assieme ai
lavoratori interessati, se l’atteggiamento rassicurante dell’azienda sia
corretto.
BERGAMO:
TRASFERIMENTO DI DIPENDENTI = LICENZIAMENTI MASCHERATI
E’ notizia di alcuni giorni fa il trasferimento di 13
lavoratori, sia part/time che full/time, presso le sedi di Vimodrone e di
Treviso che hanno la caratteristica di veri e propri licenziamenti (lo dimostra
la composizione della lista preparata dall’azienda).
Se esiste un problema di esuberi lo si dica
chiaramente. Non lasceremo da soli i 13 lavoratori senza tentare il possibile,
sappiamo che l’azienda sta forzando oltre misura lavoratori in modo vergognoso.
La R.S.U. della realtà di Milano si impegna a
garantire un supporto ai lavoratori di Bergamo nonchè a costituire un
coordinamento nazionale delle varie filiali.
Nessun rinnovo dei contratti a tempo
determinato
La precarizzazione dei lavoratori sta avanzando inesorabilmente.
Tutti quei lavoratori, nostri colleghi, che per mesi
hanno lavorato al nostro fianco ed hanno sperato di far parte del “nostro team”
stanno ricevendo il benservito.
Siamo convinti, vorremmo essere smentiti con i fatti,
che l’azienda non “crede nei suoi uomini”.
In un periodo di 7 anni l’UPS ha visto aumentare il
suo fatturato in modo esponenziale, i lavoratori hanno dato il massimo (lo
dimostrano gli standard di qualità) disponibili a lavorare anche in condizioni
precarie.
Qual è
stata la ricompensa?
Nessun beneficio salariale, nessun miglioramento
delle condizioni di vita in azienda, nè
rendere realmente partecipi i lavoratori con una vera informazione,
carenza in tutto, anche in termini di salute e di sicurezza ed una
deregolamentazione esasperata delle normative contrattuali (sottoinquadramenti
professionali, gestione unilaterale degli orari dei part-time, sforamento selvaggio
degli straordinari inchiodando di fatto le numerose richieste di passaggi a
full-time, stravolgimento dell’accordo sulla gestione delle ferie, etc..).
In questo periodo, nel quale si sarebbe dovuto
discutere della contrattazione integrativa che avrebbe portato qualche
beneficio salariale finalmente anche ai lavoratori, l’azienda ci prospetta una
situazione intollerante.
Sarebbe infatti particolarmente cinico da parte sua,
se queste trasformazioni nascondessero l’intenzione di procedere ad una
effettiva ristrutturazione del personale non in un momento di crisi aziendale
ma, al contrario, per poter incrementare i margini di profitto, allo scopo di
mantenere sostanziosi stipendi e lauti dividendi tra i nostri dirigenti.
Crediamo che la maggioranza dei lavoratori siano al
limite della sopportazione.
In tanti sono stati pazienti in passato nel subire
discutibili decisioni perchè “comprensivi delle necessità aziendali”.
E’ giunto il momento di presentare il conto operando
una inversione di tendenza e la contrattazione aziendale portà essere un’ottima
occazione.
La “globalizzazione dei mercati”, le “nuove
trasformazioni”, la “qualità totale” non sono altro che una moderna
interpretazione degli eterni “bisogni” dei datori di lavoro: pagare il meno
possibile ed ottenere il massimo dai “loro” dipendenti.
Non sono affatto scomparsi i vecchi concetti “minori
costi, bassi salari, più flessibilità etc..), semplicemente si adoperano le
moderne tecnologie per ottenere lo stesso risultato.
Con grande disinvoltura la direzione aziendale,
nell’apposito incontro sulle “relazioni industriali”, stabilito dal contratto,
ci ha tenuti all’oscuro degli stravolgimenti in preparazione, nascondendo il
problema della delocalizzazione del lavoro svolto dalla “fatturazione
nazionale” e negando che l’apertura della filiale di Treviso avrebbe comportato
dei trasferimenti da quella di Bergamo.
Preso atto dell’inattendibilità da parte
dell’azienda, la quale avrebbe l’occazione di poter smentire dati alla mano, in
un apposito incontro(31 c.m.) da tempo stabilito, la tangibile preoccupazione
che vi è tra i lavoratori, è necessario costruire una logica alternativa alla
politica aziendale.
Noi proponiamo alcune considerazioni:
Vi sono poche certezze che questo processo sia
arrivato a conclusione, anzi la sensazione è che sia solo all’inizio e che
l’unico modo per affrontarlo in maniera efficace sia quello di unire il
sindacato ed i lavoratori in un lavoro di costante informazione e
partecipazione, agendo uniti per costringere l’azienda ad una seria
contrattazione.
Infatti l’atteggiamento aziendale è quello di cercare
di mantenere separati i tavoli delle discussioni, isolando le varie realtà
aziendali ed i loro problemi che dovrebbero invece essere affrontati in un
unico contesto per poter dare maggiore forza ai lavoratori che renderebbero
l’azienda estremamente vulnerabile visto il suo spasmodico impegno a livello
pubblicitario e di pianificazione dei volumi di attività.
A quei lavoratori convinti di essere semplici
spettatori di quanto sta avvenendo, dobbiamo far capire che siamo tutti nelle
stesse condizioni: l’appiattimento della professionalità non da più garanzie ad
eventuali privilegi, nessuno è più indispensabile. Se l’azienda riuscirà a
bloccare ed isolare i soggetti più sindacalizzati, non vi saranno più ostacoli
in difesa di dignitose condizioni salariali e di lavoro.
Milano 21 Ottobre, 1996
R.S.U
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