La
manifestazione di Bruxelles
del
22 maggio
L’iniziativa presa dal coordinamento italo/spagnolo per cercare di costruire al più presto una iniziativa mondiale (1°maggio) vedeva l’Itf non ancora pronta, ma diede sicuramente una spinta decisiva visto che la loro idea iniziale era di farla entro il ‘97 e non entro pochissimi mesi. La data stabilita fu il 22 maggio.
Il volantino prodotto dall’Itf
per l’iniziativa in 12 lingue era:
“potranno i nostri figli e i figli dei nostri figli aspirare
ad un lavoro dignitoso e sicuro? Oppure le multinazionali continueranno a
spingere verso il basso i salari e verso lavori p/t con pochi vantaggi? L’Ups è
una potente multinazionale che ha fatto più di 1 miliardo di $ di profitti
nell’ultimo anno....il 22 maggio, i lavoratori dell’Ups di 11 paesi scenderanno
in piazza contro l’attacco dell’Ups ai posti di lavoro”.
I punti qualificanti
dell’iniziativa erano quattro, dei quali l’ultimo relativo alla solidarietà
verso i lavoratori italiani. Questo evento poteva essere inquadrato all’interno
di quelle iniziative che stavano avvenendo in Europa, come la vertenza europea
della Renault, era di fatto la prima iniziativa di carattere mondiale di una
singola azienda su problematiche comuni. Non fu facile riuscire a far conoscere
questa iniziativa ne tanto meno raccogliere i fondi per inviare una simbolica
delegazione a Bruxelles (sede europea dell’Ups).
Le confederazioni
sindacali si presero l’impegno di appoggiare l’iniziativa senza slancio,
incapaci di capire la portata dell’evento. Le Rsu misero in piedi una campagna
di raccolta fondi, a partire dalla
manifestazione del 1° maggio, che durò una ventina di giorni. Abbiamo visto la
partecipazione innanzitutto dei lavoratori Ups, ma anche di singoli attivisti
sindacali nei propri posti di lavoro (Atm, Fnm, Borghi, Tecnologistica,
FS....), e di singoli funzionari dell’apparato sindacale più sensibili
all’iniziativa; in particolare l’area dei comunisti della Cgil organizzò,
presso il circolo del dopo lavoro ferroviario, uno spettacolo con Rocco
Barbaro, cabarettista del programma televisivo “Pippo Kennedy show”, che
determinò la riuscita della raccolta dei fondi, raggiungendo la cifra
complessiva di L. 2.500.000.L’iniziativa alla fine fu finanziata dalle
confederazioni sindacali ed i soldi rimasero alla Rsu per continuare a
finanziare l’attività sindacale, ma ciò che si ritenne più importante era
l’aspetto organizzativo nella diffusione dell’iniziativa che non ebbe,
purtroppo, il clamore che avrebbe meritato. Furono nove le persone che
parteciparono all’iniziativa di Bruxelles quasi tutti delegati della filiale di
Milano, alcuni di essi furono ostacolati dall’azienda nella possibilità di
usufruire dei permessi sindacali. Mentre in Italia e Spagna si tenevano 2 ore
di sciopero, a Bruxelles un centinaio di attivisti dei vari centri europei si riunirono con l’obiettivo di
riuscire ad essere ricevuti dalla direzione Ups Europa per esporre le
rivendicazioni. La direzione si rifiutò di accoglierli e come risposta vi fu
l’occupazione della hall degli uffici. Quest’iniziativa è stata comunque
un’occasione per dare voce alle varie realtà dei
lavoratori Ups nel mondo, infatti negli Usa (in 14 diverse città) e in alcune
città europee e del Sud America (Brasile) vi furono una serie di iniziative
simboliche che comunque spinsero l’azienda a redimere un comunicato stampa per
puntualizzare che il servizio aziendale, per quel giorno, non aveva comunque
subito particolari problemi. Questa iniziativa ha poi posto le basi per dare
gambe alla direttiva europea per la creazione di comitati d’azienda europei.
Mentre le trattative si
facevano sempre più difficili era necessario fare una verifica sul campo di
quanto fosse rigida la posizione dell’azienda e salda la tenuta dei lavoratori.
Il 23/06/97 ci furono altre 4 ore di sciopero con blocco ai cancelli
dell’uscita dei furgoni. Una iniziativa più difficile del solito ed anche più
carica di tensione con l’arrivo della polizia in assetto antisommossa che
impressionò i lavoratori. Messo sotto pressione dai managers, un autista perse
la calma e partì sfondando il picchetto, investendo una lavoratrice che
finì all’ospedale con contusioni e 10 giorni di prognosi!!!
La
trattativa
Quello che abbiamo
potuto imparare da questa esperienza è che la politica della concertazione,
politica predominante nel panorama confederale sindacale, ha creato una visione
enormemente distorta della realtà a chi fa’ della concertazione il proprio pane
quotidiano.
Abbiamo conosciuto
alcuni dirigenti locali e nazionali molto preparati a tener testa nelle
trattative, ma se una trattativa non viene foraggiata da una forte capacità e
volontà di mobilitazione diventa purtroppo un buon esercizio di retorica!!!
Molte lotte organizzate dalla Rsu precedevano o seguivano le trattative sindacali
ma comunque l’atteggiamento aziendale non era mai diverso: tanti sorrisi ma
estremamente inflessibili nei fatti rispetto alle nostre richieste.
Nell’incontro del
18/03/97, il primo, l’azienda ribadisce la sua indisponibilità a ridiscutere il
piano messo in atto.
La richiesta da parte
del sindacato era “il ripristino di
corrette relazioni sindacali,... prassi sconosciuta in Ups e quindi,...ritirare
la procedura quale atto traumatico sia in relazione ai rapporti sindacali sia
in relazione ai rapporti di lavoro”.
L’azienda è rimasta
ferma sulle sue posizioni, non accettando nemmeno la richiesta di sospensione
per 30 gg della procedura per poter fare una analisi approfondita della
situazione.
Così nel comunicato ai
lavoratori:
“l’azienda è rimasta ferma sulle sue posizioni senza
considerare che, sia nell’incontro del marzo ‘96, nel quale non aveva indicato
sofferenze organizzative o surplus di personale, come in quello del 19 dicembre
‘96 l’azienda si era dichiarata disponibile a concordare la data per l’avvio
delle trattative per il contratto aziendale di 2°livello, per poi smentirsi a
gennaio ‘97. Non si vuole guardare al passato, anche se tutta la
riorganizzazione, i trasferimenti ed il decentramento sono stati effettuati
senza la minima trattativa con il sindacato ed in violazione del contratto
nazionale di lavoro. Oggi si deve guardare al presente, ai licenziamenti
avviati dall’azienda per 150 lavoratori.”
Il problema più evidente
era che le procedure di licenziamento presentate il 6 marzo ‘97 erano costruite
intelligentemente; non c’erano spazi per soluzioni diverse da quelle proposte
dall’azienda: la mobilità. Non si presentavano alternative né a contratti di
solidarietà né alla cassa integrazione. L’unica via d’uscita possibile era
contenuta nello stesso documento aziendale era quella di fare una deroga al
25%, percentuale massima di p/t rispetto al totale della forza lavoro, prevista
dal Ccnl. L’obiettivo dell’azienda era trasformare la maggioranza dei
lavoratori da f/t a p/t splafonando rispetto alla percentuale di p/t (già lo
aveva fatto, ma le sarebbe servita la copertura sindacale per poter essere in
regola). Come dire, dopo il danno anche la beffa, una decisione che avrebbe
potuto aprire un precedente pericoloso in un settore già fortemente deregolamentato.
La Rsu ha sempre rifiutato di discutere questa eventualità se non come l’ultima
delle possibilità, ma solo dopo aver valutato percorsi alternativi rispetto
alla struttura organizzativa dell’azienda. Infatti fin dall’inizio sostenevamo
l’impossibilità da parte dell’azienda di applicare, rispetto ai numeri
presentati, la procedura, perché ciò avrebbe significato la chiusura di intere
filiali. La tattica dell’azienda era quella di spaventare attraverso pratiche
di pressione, come il togliere il lavoro alle persone “individuate” o isolarle,
in modo da farle letteralmente “scoppiare” con lo scopo di vederle andare via
volontariamente.
Il suo obbiettivo era
eliminare la manodopera più costosa, quella più anziana e quella meno
flessibile e più rompiscatole. Come pure di rendere possibile, se le persone
non avessero ceduto alle pressioni aziendali, la modifica dei nastri lavorativi
derogando alla normativa prevista dal Ccnl. Questa era la situazione ed il
clima che si creò per i successivi otto mesi, cioè per tutta la durata della
trattativa fino alla conclusione dei licenziamenti. Solo qualche mese prima che
l’azienda aprisse le procedure di licenziamento aveva assunto in meno di un
anno più di 70 lavoratrici nella nuova filiale di Vimodrone. Lo scopo era evidente:
sostituire manodopera poco flessibile e più costosa con giovani leve flessibili
e a buon mercato. Nell’incontro del 23/4, dato che la discussione non portava a
nulla di costruttivo, venne decisa una proroga “dell’ esame congiunto in sede sindacale “.
Infatti si concordano 30
gg di proroga ai 45 gg di trattativa tra le parti che la legge 223/91 dispone,
prima di passare, se non vi è accordo sindacale, alla fase ministeriale. In
questo modo si dava tempo all’azienda di intavolare trattative a livello
territoriale. Negli incontri territoriali il sindacato non marciò più su un
unico binario. L’appello del sindacato nazionale a non accettare le proposte
aziendali se non avessero incluso cassa integrazione o contratti di
solidarietà, purtroppo non ebbe ascolto
in tutte le realtà. Nelle filiali dove era presente la Cisl, più debole come
struttura e tradizionalmente più portata alla concertazione, accettarono le
trasformazioni da f/t a p/t e l’allungamento dei nastri lavorativi. Questo
elemento disgregò il coordinamento nazionale e la sua capacità d’incidere.
Nelle altre filiali la Rsu non ha permesso che si creasse questa situazione,
anzi si è maggiormente acutizzato lo scontro con l’azienda.
Così scrivevamo “sui licenziamenti volontari (…) il suo
cinico obiettivo era...rendere questo periodo di trattativa talmente
insostenibile per tanti lavoratori, attraverso i classici strumenti
dell’emarginazione e del ricatto, da costringerli a mollare”.
Le dichiarazioni
sindacali fatte il 28/05/97 - sul mancato accordo - così recitavano:
“le OOSS dichiarano di non condividere le valutazioni
aziendali contenute nella lettera di apertura delle procedure......la riduzione
del personale prospettata renderebbe difficile e complesso lo svolgimento della
normale attività operativa....insoddisfazione rispetto ai dati e ai progetti
forniti dall’Ups relativi ai processi di terziarizzazione già effettuati (…)
stigmatizzano l’atteggiamento(…) teso ad escludere l’utilizzo di strumenti
alternativi alla messa in mobilità dei lavoratori dichiarati in esubero...”.
Il 2 giugno iniziava la
fase ministeriale della trattativa, gli incontri si spostavano a Roma presso il
ministero del lavoro.
Si rimette al centro
della trattativa il fatto che l’azienda non sia in crisi, anzi, gli esuberi dichiarati
possono essere recuperati attraverso la proposta del p/t, quindi una
contraddizione che potrebbe rimettere in discussione la Cig o altri strumenti
che possano evitare il licenziamento. Ignobilmente l’azienda si fece vanto,
davanti al ministero, di essersi adoperata durante questo processo affinché le
unità in esubero passassero da 150 a 63 (dato definitivo). Una posizione
scorretta, che non evidenziava la condotta terroristica con la quale l’azienda
ottenne questi risultati. L’azienda mantenne ferma la sua posizione di non
volere utilizzare gli ammortizzatori sociali motivandola con la banale scusa di
non voler far gravare questa situazione sullo Stato. Una contraddizione
evidente in quanto anche la mobilità è finanziata dallo Stato. Rispetto al problema
della terziarizzazione del lavoro sia operaio che impiegatizio e dell’uso di
strumenti aziendali da parte dei padroncini (diad - computer portatili) utili a
togliere lavoro ai dipendenti, l’azienda affermò che la portata di questa
operazione era stata molto contenuta rispetto alle reali intenzioni della
direzione europea di Ups, che avrebbe potuto coinvolgere anche la struttura di
Vimodrone (non vero, almeno nel breve periodo, dopo il cospicuo investimento
dell’anno precedente). Per sbloccare la situazione venne richiesto un
intervento diretto del ministero. Nel successivo incontro del 2/7/97 il
ministero si riservò di fare una proposta complessiva sulla vertenza volta al
recupero di tutti gli esuberi.
In questo periodo i
lavoratori accusano cenni di stanchezza per una lotta iniziata nel dicembre
‘96. La proposta del ministero non è esaltante,
prevedeva:
1) la trasformazione di
almeno 40 unità a part-time da contrattare con le RSU e le OOSS,
2) l’utilizzo di fondi
del ministero dei trasporti per i lavoratori considerati in esubero e non
trasformabili in p/t creando contemporaneamente una struttura coordinata dal
ministero dei trasporti per la ricollocazione del personale nel settore dei
trasporti.
Nessuna parola sulla
terziarizzazione (la nostra più grande sconfitta).
Questa proposta almeno
vincolava l’azienda ad alcune condizioni poste in merito ai p/t: la
volontarietà delle persone coinvolte, la formulazione di un accordo sindacale,
l’utilizzo delle nuove norme a sostegno dell’occupazione (art.13 legge Treu).
Il come applicare l’accordo, che di fatto fu firmato il 2/7 dall’azienda, venne
discusso in appositi incontri.
Nonostante la
disponibilità del sindacato a discutere di flessibilità, l’azienda mantenne la
sua rigidità. Noi, insieme ai lavoratori, elaboravamo autonomamente, le nostre
proposte: contratti p/t di 6 ore di lavoro e sostegno al reddito per una
percentuale da stabilire, che si sarebbe potuta ottenere attraverso l’art. 13
del pacchetto Treu che prevede, nel caso di rimodulazione di orari e/o p/t,
degli sgravi fiscali a favore dell’azienda.
Quindi una riduzione di
orario senza una forte riduzione di salario compensata dall’applicazione
dell’art.13 della legge Treu.
L’azienda, invece,
l’unica concessione che faceva alla sua proposta di 4 ore di lavoro era che nei
periodi di picco di lavoro, era disposta a concedere delle trasformazioni
temporanee da p/t a f/t proprio a quei lavoratori a cui prima aveva dimezzato
l’orario quindi lo stipendio.
Se ci fosse stata
maggiore determinazione delle OOSS nei momenti di lotta, nel tentativo di
costruire qualcosa che si assomigliasse a quello che i lavoratori americani
hanno fatto ad agosto, le trattative, probabilmente, avrebbero dato risultati
sicuramente diversi.
Noi da una parte
vedevamo la lotta che iniziava a scemare e dall’altra c’era la necessità di
salvaguardare a qualsiasi costo i posti di lavoro.
Non potevamo
accettare tout court la flessibilità posta
dall’azienda!!.
Infine, una
considerazione su questo governo “amico” dei lavoratori: la nostra esperienza
non è stata certamente delle migliori, abbiamo avuto a che fare con dei
rappresentanti di governo decisamente appiattiti sulle esigenze aziendali.
Nessuna risposta è stata
data sulle numerose ed evidenti incongruenze da noi rilevate sul processo di
terziarizzazione, sull’intermediazione di manodopera e sulla falsa crisi
aziendale, e se non avessimo fatto
pressioni, probabilmente, non ci sarebbe nemmeno stata la proposta che è stata
poi firmata, ma non rispettata, dall’azienda.
La
situazione dei lavoratori Usa
La vittoria dopo 15 gg aveva fatto il
giro del mondo lasciando senza parole chi, fino a ieri, considerava gli Usa
come la panacea di tutti mali contro la disoccupazione, quindi un modello da
imitare.
Rileggendo gli articoli del Corriere
della Sera e del Sole 24 Ore dei primi giorni di
sciopero ci si rende conto di quanta propaganda venisse
fatta a favore della multinazionale statunitense. Esaltazione dello strumento
dei p/t, della flessibilità il tutto accompagnato dalla denigrazione dell’organizzazione
sindacale troppo antiquata rispetto ad un’economia moderna.
Dopo la sconfitta di Ups, hanno dovuto
arrendersi all’evidenza considerando, però, il processo di precarizzazione come
uno strumento necessario, del quale, però, Ups aveva abusato.
Se continuano le dichiarazioni
ottimistiche sull’economia Usa (il 96 è il 6° anno di crescita economica che ha
prodotto 2,6 milioni di posti di lavoro, portando la disoccupazione ai minimo
storico del 5%); come si spiega quello che è successo?
Una risposta seria la dava Greaspan “questo è frutto dell’insicurezza che rende
docili i lavoratori” ma non è sufficiente.
Il sindacato negli Usa è dato come
morente basta valutare pochissimi dati per capire quanto sia debole:
27 scioperi nel ‘96, mentre 10 anni fa
erano oltre 200; una sindacalizzazione del 15% rispetto al 35% di 40 anni fa.
Gravi le sconfitte subite come ad esempio
quella dei controllori di volo nel ‘81, in cui il Presidente Reagan fece una
legge apposita per licenziare 12.000
scioperanti, e dei lavoratori della Caterpillar in cui vennero sostituiti gli
scioperanti con dei crumiri.
La situazione economica attuale ha creato
più posti di lavoro, ma come dimostrano gli stessi dati statistici, si tratta
di lavoro precario, a tempo determinato (un esempio: nel 93 si sono creati
1.230.000 posti di lavoro, di cui 800.000 p/t il 90% di essi era alla ricerca
di un lavoro f/t.
Il salario del p/t è in media il 50 - 60%
più basso dei f/t come paga oraria, solo il 25% ha tutele sanitarie, solo il
16% ha tutela previdenziale). Come è possibile vivere a queste condizioni?
Come è possibile trovare un altro lavoro,
se ti richiedono una flessibilità tale che non ti permette di fare un altro
lavoro?
L’Herald Tribune (giugno ‘96) ha scritto:
“non conviene cercare più lavori dato che
2 o più lavori p/t non raggiungono un salario da f/t”. Una delle
conseguenze di questa situazione è l’aumento vertiginoso della sussistenza
federale che non assiste solo i disoccupati ma anche i lavoratori: 28 milioni
nel ‘93 che non riescono arrivare alla fine del mese.
I processi di trasformazione tecnologica
hanno determinato un aumento della produttività, attualmente è la più elevata
rispetto agli ultimi 20 anni. Nel settore industriale dal ‘79 al ‘92 si è
verificato una crescita della stessa del 35% di fronte una diminuzione della
forza lavoro del 15%.
La cosiddetta globalizzazione del mercato
e la produzione flessibile del just in time, hanno determinato la possibilità
di riassorbire parte della manodopera rendendola altrettanto flessibile alle
condizioni del mercato. Tutto questo, ha portato al massacro delle condizioni
di vita della classe lavoratrice. La società statunitense sta entrando in un
periodo di forti convulsioni, le sue
fondamenta stanno cedendo attraverso l’assottigliamento costante dei ceti medi
e il forte processo di polarizzazione della società. La concentrazione della
ricchezza si restringe sempre più in poche mani (lo 0,5% delle famiglie detiene
il 31% della ricchezza del paese, il 38% dei titoli azionari, il 56% del
capitale industriale). Le scelte di questa minoranza condizionano la vita di
250 milioni di persone!!!
Dopo 20 anni questa è la prima vittoria
significativa dei lavoratori americani. Si potrebbe pensare che tutto ciò fosse
inevitabile avendo raggiunto pessime condizioni di vita e di lavoro. Se così fosse le popolazioni che muoiono di
fame nel mondo sarebbero quelle che lottano di più. Perché proprio i Teamsters
hanno fatto questa battaglia? Come mai dopo tante sconfitte una grande
vittoria?
Non è un caso che i Teamsters siano
considerati tradizionalmente i più conflittuali tra le categorie sindacali,
come da noi i metalmeccanici, ma quello che bisogna spiegare è che con la
vittoria della frazione di sinistra nel 91 all’interno del sindacato (“la voce della base”) sono
cambiate molti aspetti della lotta sindacale a partire dal suo programma
interno (es: il salario di un funzionario locale non può essere superiore di
quello dei lavoratori del suo distretto sindacale, maggior potere alla base, la
possibilità di poter fare critiche e osservazioni direttamente nelle riviste
dell’organizzazione ecc).
Una dimostrazione della loro autorità è
il modo con il quale i Teamsters influenzano il comitato sindacale mondiale Itf
e il ruolo che ha per loro la formazione di una rappresentanza sindacale globale.
Il fattore soggettivo ha permesso questa
grossa vittoria. Il sindacato, ha capito che i lavoratori non si difendono
solamente lottando per il controllo della previdenza - unica forma di
sopravvivenza del sindacato - ma facendo propria la rivendicazione contro il
lavoro precario ottenendo proprio su questo punto il maggiore successo. Sono
molto importanti le rivendicazioni volte al tentativo di risalire la china del
differenziale salariale, dato che i f/t hanno avuto aumenti poco superiori alla
media (il 3%), mentre i p/t hanno avuto aumenti del 7%.
Sono riusciti non solo a mantenere la
previdenza sotto il controllo sindacale, ma anche ad ottenere un aumento
pensionistico da 1500 a 3000 dollari; una crescita in 5 anni di 10.000 posti
f/t; la ricontrattazione con maggiori vincoli rispetto alle terziarizzazioni
(dove ce ne sarà la possibilità il lavoro tornerà
dipendente).
Una grande lezione per il nostro
sindacato molto meno pragmatico e con un potere consolidato nei decenni che ha
dimenticato di esercitare!!!
La lotta
americana
Era il 4 agosto, a causa
della pausa estiva l’ambiente era di sostanziale smobilitazione. Ricevemmo la
telefonata del segretario della Itf che ci informò della lotta dei “fratelli
americani” e ci chiese cosa avremmo potuto fare per sostenerla. Subito dopo
l’incontro dell’Itf, avvenuto nel mese di giugno a Washington (a cui non
abbiamo partecipato per problemi finanziari e le confederazioni nulla fecero
per mandarci qualcuno), i lavoratori statunitensi della Ups avevano presentato
la bozza del loro contratto. La
trattatativa si era interrotta ed i lavoratori erano entrati in stato
d’agitazione. Il programma di lotta
non era molto diverso da quello mondiale.
•• Contro
il lavoro “usa e getta”, nello specifico il lavoro p/t aumentato in modo
spropositato oltre 150.000 su 300.000 dipendenti, pagati circa il 50-60% in
meno come paga oraria a parità di mansione rispetto ad un f/t, con orari che
andavano ben oltre le 30 ore settimanali. Lavoratori che come tutti i p/t degli
Usa hanno in minima parte le tutele sanitarie e pensionistiche e sono i più
soggetti ai licenziamenti.
•• Ottenere
aumenti salariali decenti.
•• Mantenere
la gestione del sistema pensionistico nelle mani del sindacato invece che passarlo all’azienda.
•• Bloccare
il processo di terziarizzazione in atto.
•• Ottenere
un piano di assunzione di nuovi lavoratori a contratto f/t.
•• Infine
avere un maggior controllo della sicurezza del lavoro in azienda essendo questa
la più denunciata e multata negli Usa.
Considerata un colosso
nel settore postale (controlla l’80% del
mercato), lo sciopero dell’Ups ha comportato la paralisi del paese. Nonostante
la propaganda aziendale (anche in Italia con un articolo sul Corriere della
Sera del 6/8/97, giornale che non ha mai pubblicato notizie riguardanti il caso
italiano), nonostante i fiumi di soldi alle lobby parlamentari repubblicane
affinché fosse applicata la legge di precettazione dei dipendenti, la
popolazione è stata solidale con i lavoratori Ups in lotta.
Il
sindacato dei lavoratori della polizia municipale aveva dato l’ordine di
fermare i furgoni Ups per ostacolare i crumiri. Associazioni di lavoratori di
altre categorie hanno solidarizzati partecipato ai
picchetti
con gli scioperanti; la lotta contro il lavoro precario “lavoro usa e getta”
era diventata la lotta di tutti i lavoratori sfruttati.
Solo dopo 15 gg grazie
alla fermezza dei lavoratori (solo 5000 lavoratori non hanno aderito smistando appena il 10% delle spedizioni)
l’azienda ha dovuto cedere avendo perso già il 60% dei profitti fatti nel 96
(600.000 $).
Una lotta che tutti
hanno considerato significativa, anche le confederazioni sindacali di casa
nostra, non considerando che era già in corso una lotta difficile nella nostra
realtà dall’inizio del ‘97
Le
conquiste dei lavoratori Ups negli USA
• trasformazione in contratti stabili e a full time di 10.000 contratti di lavoro
precario a part time .
• limitare i processi di terziarizzazione
ed esternalizzazione attraverso una commissione paritetica che discuta del
possibile recupero del lavoro dato in precedenza ad aziende esterne
• il fondo
pensione rimane in mano al sindacato di categoria, vengono aumentate le
quote
pensionistiche da 1500 $ a 3000$.
• commissione paritetica sulla sicurezza
e salute visto che é l’ azienda che ha più subito denuncie nel 96 per
incidenti.
• miglioramenti
salariali : per i lavoratori f/t
l’incremento é del 3%; incremento del 7% per i lavoratori p/t. Una
conquista eccezionale, fondamentale per la riconquista del principio che a
parità di mansione deve corrispondere un pari salario. Quindi eliminare
differenti regimi salariali a parità di mansione.