La manifestazione di Bruxelles

del 22 maggio

L’iniziativa presa dal coordinamento italo/spagnolo per cercare di costruire al più presto una iniziativa mondiale (1°maggio) vedeva l’Itf non ancora pronta, ma diede sicuramente una spinta decisiva visto che la loro idea iniziale era di farla entro il ‘97 e non entro pochissimi mesi. La data stabilita fu il 22 maggio.

     

Il volantino prodotto dall’Itf per l’iniziativa in 12 lingue era:

“potranno i nostri figli e i figli dei nostri figli aspirare ad un lavoro dignitoso e sicuro? Oppure le multinazionali continueranno a spingere verso il basso i salari e verso lavori p/t con pochi vantaggi? L’Ups è una potente multinazionale che ha fatto più di 1 miliardo di $ di profitti nell’ultimo anno....il 22 maggio, i lavoratori dell’Ups di 11 paesi scenderanno in piazza contro l’attacco dell’Ups ai posti di lavoro”.

I punti qualificanti dell’iniziativa erano quattro, dei quali l’ultimo relativo alla solidarietà verso i lavoratori italiani. Questo evento poteva essere inquadrato all’interno di quelle iniziative che stavano avvenendo in Europa, come la vertenza europea della Renault, era di fatto la prima iniziativa di carattere mondiale di una singola azienda su problematiche comuni. Non fu facile riuscire a far conoscere questa iniziativa ne tanto meno raccogliere i fondi per inviare una simbolica delegazione a Bruxelles (sede europea dell’Ups).

Le confederazioni sindacali si presero l’impegno di appoggiare l’iniziativa senza slancio, incapaci di capire la portata dell’evento. Le Rsu misero in piedi una campagna di raccolta fondi, a partire dalla manifestazione del 1° maggio, che durò una ventina di giorni. Abbiamo visto la partecipazione innanzitutto dei lavoratori Ups, ma anche di singoli attivisti sindacali nei propri posti di lavoro (Atm, Fnm, Borghi, Tecnologistica, FS....), e di singoli funzionari dell’apparato sindacale più sensibili all’iniziativa; in particolare l’area dei comunisti della Cgil organizzò, presso il circolo del dopo lavoro ferroviario, uno spettacolo con Rocco Barbaro, cabarettista del programma televisivo “Pippo Kennedy show”, che determinò la riuscita della raccolta dei fondi, raggiungendo la cifra complessiva di L. 2.500.000.L’iniziativa alla fine fu finanziata dalle confederazioni sindacali ed i soldi rimasero alla Rsu per continuare a finanziare l’attività sindacale, ma ciò che si ritenne più importante era l’aspetto organizzativo nella diffusione dell’iniziativa che non ebbe, purtroppo, il clamore che avrebbe meritato. Furono nove le persone che parteciparono all’iniziativa di Bruxelles quasi tutti delegati della filiale di Milano, alcuni di essi furono ostacolati dall’azienda nella possibilità di usufruire dei permessi sindacali. Mentre in Italia e Spagna si tenevano 2 ore di sciopero a Bruxelles un centinaio di attivisti dei vari centri europei si riunirono con l’obiettivo di riuscire ad essere ricevuti dalla direzione Ups Europa per esporre le rivendicazioni. La direzione si rifiutò di accoglierli e come risposta vi fu l’occupazione della hall degli uffici. Quest’iniziativa è stata comunque un’occasione per dare voce alle varie realtà dei lavoratori Ups nel mondo, infatti negli Usa (in 14 diverse città) e in alcune città europee e del Sud America (Brasile) vi furono una serie di iniziative simboliche che comunque spinsero l’azienda a redimere un comunicato stampa per puntualizzare che il servizio aziendale, per quel giorno, non aveva comunque subito particolari problemi. Questa iniziativa ha poi posto le basi per dare gambe alla direttiva europea per la creazione di comitati d’azienda europei.

     

Mentre le trattative si facevano sempre più difficili era necessario fare una verifica sul campo di quanto fosse rigida la posizione dell’azienda e salda la tenuta dei lavoratori. Il 23/06/97 ci furono altre 4 ore di sciopero con blocco ai cancelli dell’uscita dei furgoni. Una iniziativa più difficile del solito ed anche più carica di tensione con l’arrivo della polizia in assetto antisommossa che impressionò i lavoratori. Messo sotto pressione dai managers, un autista perse la calma e partì sfondando il picchetto, investendo una lavoratrice che finì all’ospedale con contusioni e 10 giorni di prognosi!!!

La trattativa

Quello che abbiamo potuto imparare da questa esperienza è che la politica della concertazione, politica predominante nel panorama confederale sindacale, ha creato una visione enormemente distorta della realtà a chi fa’ della concertazione il proprio pane quotidiano.

Abbiamo conosciuto alcuni dirigenti locali e nazionali molto preparati a tener testa nelle trattative, ma se una trattativa non viene foraggiata da una forte capacità e volontà di mobilitazione diventa purtroppo un buon esercizio di retorica!!! Molte lotte organizzate dalla Rsu precedevano o seguivano le trattative sindacali ma comunque l’atteggiamento aziendale non era mai diverso: tanti sorrisi ma estremamente inflessibili nei fatti rispetto alle nostre richieste.

Nell’incontro del 18/03/97, il primo, l’azienda ribadisce la sua indisponibilità a ridiscutere il piano messo in atto.

La richiesta da parte del sindacato era “il ripristino di corrette relazioni sindacali,... prassi sconosciuta in Ups e quindi,...ritirare la procedura quale atto traumatico sia in relazione ai rapporti sindacali sia in relazione ai rapporti di lavoro”.

L’azienda è rimasta ferma sulle sue posizioni, non accettando nemmeno la richiesta di sospensione per 30 gg della procedura per poter fare una analisi approfondita della situazione.

Così nel comunicato ai lavoratori:

“l’azienda è rimasta ferma sulle sue posizioni senza considerare che, sia nell’incontro del marzo ‘96, nel quale non aveva indicato sofferenze organizzative o surplus di personale, come in quello del 19 dicembre ‘96 l’azienda si era dichiarata disponibile a concordare la data per l’avvio delle trattative per il contratto aziendale di 2°livello, per poi smentirsi a gennaio ‘97. Non si vuole guardare al passato, anche se tutta la riorganizzazione, i trasferimenti ed il decentramento sono stati effettuati senza la minima trattativa con il sindacato ed in violazione del contratto nazionale di lavoro. Oggi si deve guardare al presente, ai licenziamenti avviati dall’azienda per 150 lavoratori.”

Il problema più evidente era che le procedure di licenziamento presentate il 6 marzo ‘97 erano costruite intelligentemente; non c’erano spazi per soluzioni diverse da quelle proposte dall’azienda: la mobilità. Non si presentavano alternative né a contratti di solidarietà né alla cassa integrazione. L’unica via d’uscita possibile era contenuta nello stesso documento aziendale era quella di fare una deroga al 25%, percentuale massima di p/t rispetto al totale della forza lavoro, prevista dal Ccnl. L’obiettivo dell’azienda era trasformare la maggioranza dei lavoratori da f/t a p/t splafonando rispetto alla percentuale di p/t (già lo aveva fatto, ma le sarebbe servita la copertura sindacale per poter essere in regola). Come dire, dopo il danno anche la beffa, una decisione che avrebbe potuto aprire un precedente pericoloso in un settore già fortemente deregolamentato. La Rsu ha sempre rifiutato di discutere questa eventualità se non come l’ultima delle possibilità, ma solo dopo aver valutato percorsi alternativi rispetto alla struttura organizzativa dell’azienda. Infatti fin dall’inizio sostenevamo l’impossibilità da parte dell’azienda di applicare, rispetto ai numeri presentati, la procedura, perché ciò avrebbe significato la chiusura di intere filiali. La tattica dell’azienda era quella di spaventare attraverso pratiche di pressione, come il togliere il lavoro alle persone “individuate” o isolarle, in modo da farle letteralmente “scoppiare” con lo scopo di vederle andare via volontariamente.

Il suo obbiettivo era eliminare la manodopera più costosa, quella più anziana e quella meno flessibile e più rompiscatole. Come pure di rendere possibile, se le persone non avessero ceduto alle pressioni aziendali, la modifica dei nastri lavorativi derogando alla normativa prevista dal Ccnl. Questa era la situazione ed il clima che si creò per i successivi otto mesi, cioè per tutta la durata della trattativa fino alla conclusione dei licenziamenti. Solo qualche mese prima che l’azienda aprisse le procedure di licenziamento aveva assunto in meno di un anno più di 70 lavoratrici nella nuova filiale di Vimodrone. Lo scopo era evidente: sostituire manodopera poco flessibile e più costosa con giovani leve flessibili e a buon mercato. Nell’incontro del 23/4, dato che la discussione non portava a nulla di costruttivo, venne decisa una proroga “dell’ esame congiunto in sede sindacale “.

Infatti si concordano 30 gg di proroga ai 45 gg di trattativa tra le parti che la legge 223/91 dispone, prima di passare, se non vi è accordo sindacale, alla fase ministeriale. In questo modo si dava tempo all’azienda di intavolare trattative a livello territoriale. Negli incontri territoriali il sindacato non marciò più su un unico binario. L’appello del sindacato nazionale a non accettare le proposte aziendali se non avessero incluso cassa integrazione o contratti di solidarietà,  purtroppo non ebbe ascolto in tutte le realtà. Nelle filiali dove era presente la Cisl, più debole come struttura e tradizionalmente più portata alla concertazione, accettarono le trasformazioni da f/t a p/t e l’allungamento dei nastri lavorativi. Questo elemento disgregò il coordinamento nazionale e la sua capacità d’incidere. Nelle altre filiali la Rsu non ha permesso che si creasse questa situazione, anzi si è maggiormente acutizzato lo scontro con l’azienda.

Così scrivevamo “sui licenziamenti volontari (…) il suo cinico obiettivo era...rendere questo periodo di trattativa talmente insostenibile per tanti lavoratori, attraverso i classici strumenti dell’emarginazione e del ricatto, da costringerli a mollare”.

Le dichiarazioni sindacali fatte il 28/05/97 - sul mancato accordo - così recitavano:

“le OOSS dichiarano di non condividere le valutazioni aziendali contenute nella lettera di apertura delle procedure......la riduzione del personale prospettata renderebbe difficile e complesso lo svolgimento della normale attività operativa....insoddisfazione rispetto ai dati e ai progetti forniti dall’Ups relativi ai processi di terziarizzazione già effettuati (…) stigmatizzano l’atteggiamento(…) teso ad escludere l’utilizzo di strumenti alternativi alla messa in mobilità dei lavoratori dichiarati in esubero...”.

Il 2 giugno iniziava la fase ministeriale della trattativa, gli incontri si spostavano a Roma presso il ministero del lavoro.

Si rimette al centro della trattativa il fatto che l’azienda non sia in crisi, anzi, gli esuberi dichiarati possono essere recuperati attraverso la proposta del p/t, quindi una contraddizione che potrebbe rimettere in discussione la Cig o altri strumenti che possano evitare il licenziamento. Ignobilmente l’azienda si fece vanto, davanti al ministero, di essersi adoperata durante questo processo affinché le unità in esubero passassero da 150 a 63 (dato definitivo). Una posizione scorretta, che non evidenziava la condotta terroristica con la quale l’azienda ottenne questi risultati. L’azienda mantenne ferma la sua posizione di non volere utilizzare gli ammortizzatori sociali motivandola con la banale scusa di non voler far gravare questa situazione sullo Stato. Una contraddizione evidente in quanto anche la mobilità è finanziata dallo Stato. Rispetto al problema della terziarizzazione del lavoro sia operaio che impiegatizio e dell’uso di strumenti aziendali da parte dei padroncini (diad - computer portatili) utili a togliere lavoro ai dipendenti, l’azienda affermò che la portata di questa operazione era stata molto contenuta rispetto alle reali intenzioni della direzione europea di Ups, che avrebbe potuto coinvolgere anche la struttura di Vimodrone (non vero, almeno nel breve periodo, dopo il cospicuo investimento dell’anno precedente). Per sbloccare la situazione venne richiesto un intervento diretto del ministero. Nel successivo incontro del 2/7/97 il ministero si riservò di fare una proposta complessiva sulla vertenza volta al recupero di tutti gli esuberi.

In questo periodo i lavoratori accusano cenni di stanchezza per una lotta iniziata nel dicembre ‘96. La proposta del ministero non è esaltante,  prevedeva:

1) la trasformazione di almeno 40 unità a part-time da contrattare con le RSU e le OOSS,

2) l’utilizzo di fondi del ministero dei trasporti per i lavoratori considerati in esubero e non trasformabili in p/t creando contemporaneamente una struttura coordinata dal ministero dei trasporti per la ricollocazione del personale nel settore dei trasporti.

Nessuna parola sulla terziarizzazione (la nostra più grande sconfitta).

Questa proposta almeno vincolava l’azienda ad alcune condizioni poste in merito ai p/t: la volontarietà delle persone coinvolte, la formulazione di un accordo sindacale, l’utilizzo delle nuove norme a sostegno dell’occupazione (art.13 legge Treu). Il come applicare l’accordo, che di fatto fu firmato il 2/7 dall’azienda, venne discusso in appositi incontri.

Nonostante la disponibilità del sindacato a discutere di flessibilità, l’azienda mantenne la sua rigidità. Noi, insieme ai lavoratori, elaboravamo autonomamente, le nostre proposte: contratti p/t di 6 ore di lavoro e sostegno al reddito per una percentuale da stabilire, che si sarebbe potuta ottenere attraverso l’art. 13 del pacchetto Treu che prevede, nel caso di rimodulazione di orari e/o p/t, degli sgravi fiscali a favore dell’azienda.

Quindi una riduzione di orario senza una forte riduzione di salario compensata dall’applicazione dell’art.13 della legge Treu.

L’azienda, invece, l’unica concessione che faceva alla sua proposta di 4 ore di lavoro era che nei periodi di picco di lavoro, era disposta a concedere delle trasformazioni temporanee da p/t a f/t proprio a quei lavoratori a cui prima aveva dimezzato l’orario quindi lo stipendio.

Se ci fosse stata maggiore determinazione delle OOSS nei momenti di lotta, nel tentativo di costruire qualcosa che si assomigliasse a quello che i lavoratori americani hanno fatto ad agosto, le trattative, probabilmente, avrebbero dato risultati sicuramente diversi.

Noi da una parte vedevamo la lotta che iniziava a scemare e dall’altra c’era la necessità di salvaguardare a qualsiasi costo i posti di lavoro.

Non potevamo accettare tout court la flessibilità posta dall’azienda!!.

Infine, una considerazione su questo governo “amico” dei lavoratori: la nostra esperienza non è stata certamente delle migliori, abbiamo avuto a che fare con dei rappresentanti di governo decisamente appiattiti sulle esigenze aziendali.

Nessuna risposta è stata data sulle numerose ed evidenti incongruenze da noi rilevate sul processo di terziarizzazione, sull’intermediazione di manodopera e sulla falsa crisi aziendale,  e se non avessimo fatto pressioni, probabilmente, non ci sarebbe nemmeno stata la proposta che è stata poi firmata, ma non rispettata, dall’azienda.

 

 

La situazione dei lavoratori Usa

 

La vittoria dopo 15 gg aveva fatto il giro del mondo lasciando senza parole chi, fino a ieri, considerava gli Usa come la panacea di tutti mali contro la disoccupazione, quindi un modello da imitare.

Rileggendo gli articoli del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore dei primi giorni di sciopero ci si rende conto di quanta propaganda venisse fatta a favore della multinazionale statunitense. Esaltazione dello strumento dei p/t, della flessibilità il tutto accompagnato dalla denigrazione dell’organizzazione sindacale troppo antiquata rispetto ad un’economia moderna.

Dopo la sconfitta di Ups, hanno dovuto arrendersi all’evidenza considerando, però, il processo di precarizzazione come uno strumento necessario, del quale, però, Ups aveva abusato.

Se continuano le dichiarazioni ottimistiche sull’economia Usa (il 96 è il 6° anno di crescita economica che ha prodotto 2,6 milioni di posti di lavoro, portando la disoccupazione ai minimo storico del 5%); come si spiega quello che è successo?

Una risposta seria la dava Greaspan “questo è frutto dell’insicurezza che rende docili i lavoratori” ma non è sufficiente.

Il sindacato negli Usa è dato come morente basta valutare pochissimi dati per capire quanto sia debole:

27 scioperi nel ‘96, mentre 10 anni fa erano oltre 200; una sindacalizzazione del 15% rispetto al 35% di 40 anni fa.

Gravi le sconfitte subite come ad esempio quella dei controllori di volo nel ‘81, in cui il Presidente Reagan fece una

legge apposita per licenziare 12.000 scioperanti, e dei lavoratori della Caterpillar in cui vennero sostituiti gli scioperanti con dei crumiri.

La situazione economica attuale ha creato più posti di lavoro, ma come dimostrano gli stessi dati statistici, si tratta di lavoro precario, a tempo determinato (un esempio: nel 93 si sono creati 1.230.000 posti di lavoro, di cui 800.000 p/t il 90% di essi era alla ricerca di un lavoro f/t.

Il salario del p/t è in media il 50 - 60% più basso dei f/t come paga oraria, solo il 25% ha tutele sanitarie, solo il 16% ha tutela previdenziale). Come è possibile vivere a queste condizioni?

Come è possibile trovare un altro lavoro, se ti richiedono una flessibilità tale che non ti permette di fare un altro lavoro?

L’Herald Tribune (giugno ‘96) ha scritto: “non conviene cercare più lavori dato che 2 o più lavori p/t non raggiungono un salario da f/t”. Una delle conseguenze di questa situazione è l’aumento vertiginoso della sussistenza federale che non assiste solo i disoccupati ma anche i lavoratori: 28 milioni nel ‘93 che non riescono arrivare alla fine del mese.

I processi di trasformazione tecnologica hanno determinato un aumento della produttività, attualmente è la più elevata rispetto agli ultimi 20 anni. Nel settore industriale dal ‘79 al ‘92 si è verificato una crescita della stessa del 35% di fronte una diminuzione della forza lavoro del 15%.

La cosiddetta globalizzazione del mercato e la produzione flessibile del just in time, hanno determinato la possibilità di riassorbire parte della manodopera rendendola altrettanto flessibile alle condizioni del mercato. Tutto questo, ha portato al massacro delle condizioni di vita della classe lavoratrice. La società statunitense sta entrando in un periodo di forti convulsioni,  le sue fondamenta stanno cedendo attraverso l’assottigliamento costante dei ceti medi e il forte processo di polarizzazione della società. La concentrazione della ricchezza si restringe sempre più in poche mani (lo 0,5% delle famiglie detiene il 31% della ricchezza del paese, il 38% dei titoli azionari, il 56% del capitale industriale). Le scelte di questa minoranza condizionano la vita di 250 milioni di persone!!!

Dopo 20 anni questa è la prima vittoria significativa dei lavoratori americani. Si potrebbe pensare che tutto ciò fosse inevitabile avendo raggiunto pessime condizioni di vita e di lavoro.  Se così fosse le popolazioni che muoiono di fame nel mondo sarebbero quelle che lottano di più. Perché proprio i Teamsters hanno fatto questa battaglia? Come mai dopo tante sconfitte una grande vittoria?

Non è un caso che i Teamsters siano considerati tradizionalmente i più conflittuali tra le categorie sindacali, come da noi i metalmeccanici, ma quello che bisogna spiegare è che con la vittoria della frazione di sinistra nel 91 all’interno del sindacato (“la voce della base) sono cambiate molti aspetti della lotta sindacale a partire dal suo programma interno (es: il salario di un funzionario locale non può essere superiore di quello dei lavoratori del suo distretto sindacale, maggior potere alla base, la possibilità di poter fare critiche e osservazioni direttamente nelle riviste dell’organizzazione ecc).

Una dimostrazione della loro autorità è il modo con il quale i Teamsters influenzano il comitato sindacale mondiale Itf e il ruolo che ha per loro la formazione di una rappresentanza sindacale globale.

Il fattore soggettivo ha permesso questa grossa vittoria. Il sindacato, ha capito che i lavoratori non si difendono solamente lottando per il controllo della previdenza - unica forma di sopravvivenza del sindacato - ma facendo propria la rivendicazione contro il lavoro precario ottenendo proprio su questo punto il maggiore successo. Sono molto importanti le rivendicazioni volte al tentativo di risalire la china del differenziale salariale, dato che i f/t hanno avuto aumenti poco superiori alla media (il 3%), mentre i p/t hanno avuto aumenti del 7%.

Sono riusciti non solo a mantenere la previdenza sotto il controllo sindacale, ma anche ad ottenere un aumento pensionistico da 1500 a 3000 dollari; una crescita in 5 anni di 10.000 posti f/t; la ricontrattazione con maggiori vincoli rispetto alle terziarizzazioni (dove ce ne sarà la possibilità il lavoro tornerà

dipendente).

Una grande lezione per il nostro sindacato molto meno pragmatico e con un potere consolidato nei decenni che ha dimenticato di esercitare!!!

 

 

La   lotta americana

Era il 4 agosto, a causa della pausa estiva l’ambiente era di sostanziale smobilitazione. Ricevemmo la telefonata del segretario della Itf che ci informò della lotta dei “fratelli americani” e ci chiese cosa avremmo potuto fare per sostenerla. Subito dopo l’incontro dell’Itf, avvenuto nel mese di giugno a Washington (a cui non abbiamo partecipato per problemi finanziari e le confederazioni nulla fecero per mandarci qualcuno), i lavoratori statunitensi della Ups avevano presentato la bozza del loro contratto.  La trattatativa si era interrotta ed i lavoratori erano entrati in stato d’agitazione. Il programma di lotta non era molto diverso da quello mondiale.

••         Contro il lavoro “usa e getta”, nello specifico il lavoro p/t aumentato in modo spropositato oltre 150.000 su 300.000 dipendenti, pagati circa il 50-60% in meno come paga oraria a parità di mansione rispetto ad un f/t, con orari che andavano ben oltre le 30 ore settimanali. Lavoratori che come tutti i p/t degli Usa hanno in minima parte le tutele sanitarie e pensionistiche e sono i più soggetti ai licenziamenti.

••         Ottenere aumenti salariali decenti.

••         Mantenere la gestione del sistema pensionistico nelle mani del sindacato invece  che passarlo all’azienda.

••         Bloccare il processo di terziarizzazione in atto.

••         Ottenere un piano di assunzione di nuovi lavoratori a contratto f/t.

••         Infine avere un maggior controllo della sicurezza del lavoro in azienda essendo questa la più denunciata e multata negli Usa.

Considerata un colosso nel settore postale  (controlla l’80% del mercato), lo sciopero dell’Ups ha comportato la paralisi del paese. Nonostante la propaganda aziendale (anche in Italia con un articolo sul Corriere della Sera del 6/8/97, giornale che non ha mai pubblicato notizie riguardanti il caso italiano), nonostante i fiumi di soldi alle lobby parlamentari repubblicane affinché fosse applicata la legge di precettazione dei dipendenti, la popolazione è stata solidale con i lavoratori Ups in lotta.

Il sindacato dei lavoratori della polizia municipale aveva dato l’ordine di fermare i furgoni Ups per ostacolare i crumiri. Associazioni di lavoratori di altre categorie hanno solidarizzati partecipato ai

picchetti con gli scioperanti; la lotta contro il lavoro precario “lavoro usa e getta” era diventata la lotta di tutti i lavoratori sfruttati.

Solo dopo 15 gg grazie alla fermezza dei lavoratori (solo 5000 lavoratori non hanno aderito smistando appena il 10% delle spedizioni) l’azienda ha dovuto cedere avendo perso già il 60% dei profitti fatti nel 96 (600.000 $).

Una lotta che tutti hanno considerato significativa, anche le confederazioni sindacali di casa nostra, non considerando che era già in corso una lotta difficile nella nostra realtà dall’inizio del  ‘97

 


Le  conquiste dei lavoratori Ups negli USA

 

• trasformazione in contratti stabili e a full time di 10.000 contratti di lavoro precario a part time .

• limitare i processi di terziarizzazione ed esternalizzazione attraverso una commissione paritetica che discuta del possibile recupero del lavoro dato in precedenza ad aziende esterne

• il fondo pensione rimane in mano al sindacato di categoria, vengono aumentate le quote

pensionistiche da 1500 $ a 3000$.

• commissione paritetica sulla sicurezza e salute visto che é l’ azienda che ha più subito denuncie nel 96 per incidenti.

miglioramenti salariali : per i lavoratori f/t  l’incremento é del 3%; incremento del 7% per i lavoratori p/t. Una conquista eccezionale, fondamentale per la riconquista del principio che a parità di mansione deve corrispondere un pari salario. Quindi eliminare differenti regimi salariali a parità di mansione.